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scrittura   /   Un passo nel buio, un passo nella luce

(martedì, 10 maggio 2016)

Leggere il romanzo scritto da un amico non è mai un’azione semplice, almeno per me. Anche prima di iniziare a posare l’occhio sulla prima riga sono assalito da un dubbio: e se non mi piace, come faccio a dirglielo? Trovo il modo? Mi dimostro impietoso, nascondendomi dietro al fatto per cui, se sono crudele, allora dimostro in pieno la mia amicizia? Oppure, mi limito a non dirgli nulla, a far finta di non aver mai avuto il tempo di leggerlo, nella non tanto segreta speranza che il detto amico se ne dimentichi o che capisca? Naturalmente l’ultima è l’azione più spregevole che si possa compiere (almeno per me e per la mia scala di valori!). C’è un’altra opzione: mentire spudoratamente… purtroppo non posso prenderla in considerazione perché proprio non mi riesce.

Dopo poche righe di Un passo nel buio, un passo nella luce di Alessandro Cimarelli, ho tirato un sospiro di sollievo: tutti i miei timori sono stati spazzati via in un attimo. Se proprio dovessi trovare un’etichetta per un romanzo così particolare (anche nella brevità: sono 122 pagine con splendide illustrazioni di Valeria Bruschi), lo definirei un piccolo romanzo di formazione, adeguato ai tempi. Se nell’800 per un romanzo di questo genere sarebbero state necessarie molte centinaia di pagine, ai nostri giorni forse è necessario molto meno per arrivare al cuore delle cose. Per fare un paragone medico, forse adesso abbiamo bisogno di dosaggi più elevati e da somministrare in un’unica soluzione. In effetti ci troviamo di fronte a un romanzo che potrebbe essere letto molto comodamente in una sola serata. Dico “potrebbe” perché in realtà la sua densità mi ha colpito a tal punto da aver bisogno di prendermi tre serate per leggerlo e per riflettere su quanto avevo letto. Da una parte è vero che Un passo nel buio, un passo nella luce si inserisce in un filone letterario molto proficuo e alla base del romanzo moderno, e quindi di per sé racconta ciò che fa già parte del nostro patrimonio umano, ma alla base del racconto, oltre il velo della semplice storia, si percepisce una verità fatta di dolore, speranza e rinascita che non si può ignorare nella sua immediatezza. Ci sono storie che hanno bisogno di essere raccontate, quasi indipendentemente dalla volontà dell’autore, e che arriveranno dove devono arrivare, anche solo per permettere a una sola persona di avere una consapevolezza maggiore.

Un altro aspetto che mi ha colpito di questo romanzo, e questo è fondamentale per completare il quadro, è la sua freschezza. L’inizio, chiaramente onirico, aggiunge un che di fantastico, che impedisce al libro di assumere toni di insegnamento. Il protagonista, come tutti, è alla ricerca di un senso, ma la sua ricerca non diventa mai il paradigma della ricerca di tutti, ma una semplice possibilità. L’idea che ci sia una possibilità per tutti, nascosta nei nostri talenti o in qualcosa che risuona in noi dà una grande liberazione dall’idea di dover fare o non fare qualcosa per essere felici. A volte l’ispirazione non sta nella vicenda, ma nel processo di crescita di chi parla. In questa storia narrata in prima persona l’autore si mette al servizio del suo personaggio prendendosi il lusso di dimenticare ciò che sa per impararlo di nuovo, per viverlo un’altra volta e per dare una vera e propria esperienza a chi legge.

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