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RECENSIONI   /   cinema   /   La danza macabra di Hugo Cabret

(martedì, 6 marzo 2012)

Una della scene chiave di Hugo Cabret è una sorta di rievocazione del cinema delle origini. I due piccoli protagonisti sono in una biblioteca e sfogliano un libro. Davanti a loro scorrono le immagini degli inizi della grande epopea delle immagini in movimento e della loro transizione da “novelty”, da curiosità da baraccone, fino a nuovo mezzo narrativo, il più tipico del XX secolo. Durante questa sequenza si possono ascoltare le note della Danse Macabre di Camille Saint-Saens. Di certo siamo in un momento chiave dal punto di vista ideologico e non si tratta di una musica scelta a caso. La colonna sonora è per lo più originale e composta da Howard Shore, ma non in quel preciso momento. Shore, in una dichiarazione riportata da Variety , sostiene che la musica di Saint-Saens sarebbe stata usata per un tendone da circo o per un cinema in quegli anni. Non trovo che questa spiegazione sia del tutto persuasiva. La musica di Saint-Saens è tutto fuorché musica da baraccone, visto che a seguito della prima esecuzione del 1875 fu al centro di uno scandalo che la vedeva come l’esempio di un frivolo intrattenimento per le classi elevate. .

Credo sia lecito chiedersi il perché di una tale scelta e penso di poter formulare un’ipotesi al riguardo. Com’è noto, la Danse macabre di Saint-Saens trae ispirazione dall’omonimo poema grottesco di Henri Cazalis. La morte, al suono di un violino scordato, evoca cadaveri, demoni e altre creature fantastiche che escono dalle tombe. La “scordatura” del violino viene resa dalla differenza di tonalità: l’orchestra segue una linea melodica in Mi Maggiore, mentre la morte, al violino solista, segue una linea in Mi Minore. La stessa linea melodica, come viene riportato in questo articolo (per chi voglia approfondire) in realtà è un capovolgimento del tema classico del Dies Irae.

Vediamo adesso ad Hugo Cabret. L’idea dietro a questa scena potrebbe avere a che fare con la caratteristica implicitamente necromantica dell’esperienza cinematografica. I morti vengono riportati alla luce (anzi, dal punto di vista della proiezione danzano sulla luce) dalle profondità del passato, immagini spettrali condannate a ripetere a ogni séanse il momento in cui sono state catturate dalla macchina da presa. A evocarle, la figura del cineasta-proiezionista, figure ora ben distinte ma allora coincidenti. Anche questa è una figura ambigua, viva e morta allo stesso tempo. Salto d’immaginazione da parte mia? Non direi. Nel momento in cui i due giovani chiudono il libro, lo stesso autore comunica loro che George Melies è morto. La percezione della realtà è uno dei temi fondamentali di Hugo Cabret e in quel momento anche noi spettatori siamo chiamati a dubitare dello stato di salute di Melies: è vivo? E’ morto? E’ entrambe le cose insieme? E’ ancora quell’essere spettrale che fa danzare immagini sul filo luminoso di una proiezione? L’ambiguità non viene sciolta finché non ci troviamo di fronte a Melies, attirato dal suono di un proiettore, quasi fosse il suono del violino della Danse. Poco dopo Melies riporta alla mente il suo incontro con i fratelli Lumiére, e in quel preciso istante torna ancora una volta la melodia della Danse Macabre, proprio nel momento rivelatorio in cui Melies comprende la sua vera vocazione. Quella di diventare evocatore di immagini impossibili, che nella finzione siano in grado di violare anche le regole della natura.

Che la colonna sonora musicale abbia un’importanza fondamentale nel cinema di Scorsese, ormai è quasi un luogo comune. Potrebbe esserci questo significato “ideologico” dietro alla scelta di Saint-Saens?

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