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RECENSIONI   /   cinema   /   Diaz – Don’t Clean Up This Blood

(lunedì, 20 febbraio 2012)

Il film di Daniele Vicari cerca di ricomporre quello che è rimasto un trauma non sanato per il nostro paese, come dice la locandina “la notte in cui la democrazia fu sospesa”. Di certo non è un’esagerazione. Per una volta però sarebbe bene sospendere le giuste passioni che provoca una ferita ancora aperta e fare almeno un tentativo per parlare del funzionamento di Diaz al di là di ogni considerazione sui fatti da cui trae ispirazione. Pur tenendoli ben presenti.

Diaz è un film corale, nel senso che parte da diversi punti di vista, però non è un film ad episodi. In questo caso abbiamo la sovrapposizione di diverse testimonianze che convergono fino a una ricostruzione complessiva. Ciascuno degli sguardi è come un riflettore puntato sulla scuola, nel tentativo di illuminare ogni angolo, dove la luce si sovrappone c’è una ripetizione, un ritorno su determinati momenti chiave.

La versione di Vicari è implacabile nel mostrare i colpi, le violenze e le umiliazioni subite. Bisogna però ricordare che dietro a questa efficacia c’è un uso molto accorto del mezzo cinematografico, inclusa una vera e propria costruzione della tensione, ad esempio nei primi momenti dell’irruzione delle forze di polizia nella Diaz. Quelli che dovrebbero essere i difensori della legge qui sono rappresentati quasi sempre senza volto, allo stesso tempo evanescenti come ombre e pesanti come macigni. Come a ricordare che meno di una trentina dei trecento agenti coinvolti sono stati davvero identificati (ma mai condannati per effetto della prescrizione). Questo è un uso dell’immagine funzionale alla posizione che Vicari vuole assumere rispetto alla vicenda. Il regista tra l’altro si rende conto di poter andare fino a un certo livello nella costruzione dei fatti, e la scala gerarchica di chi prese le decisioni durante quella notta può essere risalita fino a un certo punto. Così i funzionari e i dirigenti dietro a quella fallimentare operazioni sono appena evocati per ricordarne la presenza, ma mai affrontati direttamente.

In ogni caso ci troviamo di fronte a un cinema civile di alto valore, preciso nella costruzione narrativa e ben realizzato dal punto di vista tecnico e artistico. Da segnalare la prova di Santamaria, uno degli interpreti più raffinati e sensibili che ci siano in Italia in questo momento.

(Mauro Corso)

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