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scrittura   /   Tutto il mio amore – come si scrive un monologo

(lunedì, 19 marzo 2012)

Ieri sono riuscito a vedere dopo molto tempo Tutto il mio amore, di Melania Fiore. Melania è stata una delle prime ospiti al Laboratorio di scrittura che tengo a San Frumenzio e il suo apporto ha avuto un impatto importante su chi è venuta a sentirla. Mentre la recensione in senso stretto di questo spettacolo è stata già pubblicata su TeatroTeatro.it, in questa sede vorrei fare un lavoro diverso, cioè vorrei fare un’analisi descrittiva delle caratteristiche di questo testo, soprattutto indirizzata ai miei allievi di scrittura creativa e in seconda battuta a tutti coloro che si interessano di scrittura.

Tutto il mio amore è un monologo “di sfogo”, cioè un personaggio si lamenta di una sua condizione attuale. Nel caso di Carla, la protagonista, oggetto di questa lamentazione è una doppia perdita: la perdita di una persona amata, Bruno, e la perdita di un luogo, il suo paese natale che ha perso completamente la sua identità sotto il peso dei veleni e delle scorie inquinanti che la appestano. Questi veleni e queste scorie non sono l’effetto del caso o di un destino cinico e baro, ma sono la diretta conseguenza delle attività illecite della criminalità organizzata di quell’area, e Tutto il mio amore è proprio questo: una sentenza di condanna nei confronti della ‘ndrangheta.

Quello che rende efficace questo atto d’accusa è la personalizzazione. Protagonista del monologo è una persona vera, con un retroterra culturale concreto e con sogni, speranze e aspirazioni concrete e quotidiane. Carla non è in sé una persona speciale, ma è proprio la sua quotidianità a renderla indimenticabile.

Il mio insegnante di scrittura, Marco Maltauro, riuscì a insegnarmi (molto faticosamente devo dire!) che ogni drammaturgia deve nascere dal legame elementale ma fondamentale di “personaggio + azione”, e questo è un concetto di cui fare tesoro, specialmente se ancora non si è padroni della tecnica.

Da questo punto di vista Carla è impeccabile perché la sua azione è raccontare. Raccontare è un’azione apparentemente semplice con un’ambizione grandissima: dare un senso a qualcosa, come la morte di un ragazzo per un cancro da inquinamento ambientale, che non ha alcun senso. Raccontare non è solo una lamentazione consolatoria che può portare all’accettazione di un trauma, perché qui porta all’azione. Carla vuole scuotere le coscienze e indurle un a un cambiamento. A volte si può iniziare a cambiare anche solo alzandosi in piedi.

Il racconto di Carla è calmo, pacato, perché parte da un presupposto anch’esso molto semplice, ma dalle ramificazioni molto complesse: se grido nessuno mi ascolta. La società calabrese di cui parla Carla è una società molto tradizionale, basata su una serie di schemi, dallo schema familiare allo schema della criminalità che “protegge” il territorio dove lo Stato ufficiale è vacante. Rompere questi schemi, che sono in primo luogo schemi mentali, è una questione molto complicata. Sull’analisi degli schemi mentali rimando all’ottimo saggio di David Goleman “Menzogna, autoinganno, illusione”. Per lo scopo di questo breve articolo basti dire che in una società chiusa, le persone che ne fanno parte vedono solo quello che fa parte di uno schema, quello che è estraneo viene prontamente interpretato e catalogato come elemento esterno, da isolare. Se Carla urlasse la sua denuncia, probabilmente gli abitanti del suo paese interpreterebbero il suo gesto come il segno di una follia nata dal dolore per la morte di Bruno. Per questo Carla non grida: perché il suo messaggio arrivi.

Il monologo d’altro canto è di un ordine rigoroso:

  • Introduzione: Carla spiega lo scopo (trovare una risposta) della storia che vuole raccontare e la modalità (il racconto pacato) con cui raccontarla. Viene inserito qui un elemento inquietante: gli uomini eleganti e gentili che realizzano i sogni. Sembrano un miscuglio tra un poltico dei nostri tempi e i misteriosi “uomini in nero” della tradizione cospirativa di matrice statunitense. Carver diceva sempre che è importante mettere un senso di minaccia all’inizio di un racconto (altra cosa che Maltauro è riuscito faticosamente a insegnarmi).
  • Ricordo: Carla parla della sua città prima dell’arrivo della nuova ‘ndrangheta affarista. In questa fase il racconto è vibrante e ricco di dettagli, circostanze e personaggi sono riportati con grande precisione (la precisione! Prima regola di ogni buona scrittura). La fase del ricordo è fondamentale perché chi ascolta deve affezionarsi a luoghi, atmosfere personaggi. Questi elementi non sono accumulati in una sequenza casuale, ma si inseriscono nella biografia di Carla, che è il filo conduttore della storia.
  • Dolore: la morte di Bruno non arriva come un colpo di scena. Volontariamente. Tutto il mio amore non è un thriller. Il mondo descritto nella seconda parte inizia a sgretorlarsi. E’ impossibile non soffrire assieme a Carla, proprio perché la prima parte ha comportato un processo di identificazione. Tale processo è stato possibile solo grazie a un’estrema precisione nella scrittura. Non è un semplice procedimento, ma una questione affettiva.
  • Azione: l’Italia è un paese addormentato. Anche solo alzarsi in piedi diventa un richiamo all’azione. Questo piccolo epilogo diventa teatro civile in senso stretto. Fare alzare dalla sedia gli spettatori di un teatro non è peraltro un affare così facile come si potrebbe pensare. Non in Italia. Non a Roma.

Quindi anche questo monologo usa una griglia, ma in questa griglia c’è uno spazio di libertà molto ampio. Quello che colpisce di Tutto il mio amore è la grande chiarezza. Dopo averlo visto ieri sera sarei in grado di raccontare la storia di Carla in termini molto precisi e senza tralasciare nulla. Non è un fatto mnemonico, ma di “memoria emotiva”: quello che colpisce il cuore resta impresso nella mente. Questo è il risultato che ogni autore di teatro civile deve prefiggersi.

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