(martedì, 5 febbraio 2013)
Come ogni scrittore sa, quello che non si dice è importante quanto quello che si dice. A volte è persino più importante. Recentemente all’Aquila c’è stata una sentenza che è passata del tutto inosservata, di cui quasi nessuno ha parlato se non all’interno della blogosfera. Nel febbraio del 2011 una ragazza di vent’anni ha subito violenza ed è stata abbandonata nella neve dietro a una discoteca aquilana. Il violentatore era un ex militare, Francesco Tuccia, recentemente condannato in primo grado a 8 anni. In fase pre processuale ha avuto il beneficio degli arresti domiciliari. Durante il processo, come spesso succede in casi di violenza sessuale, si è cercato di fare passare quanto accaduto come sesso consensuale. Naturalmente ci vuole un po’ di fantasia per fare passare 48 (quarantotto) punti di sutura come la naturale conseguenza di una normale attività sessuale. Ciascuno di questi punti, in qualunque altro paese del mondo, avrebbe reso questo un caso di alto profilo, in grado di creare indignazione e mobilitazione. Mobilitazione che peraltro c’è stata: c’è stato un presidio permanente di fronte al tribunale aquilano, ma di tutto questo nessuno ha sentito nulla. La notizia è stata riportata, ma non è mai andata oltre (per quanto sappia) l’edizione regionale di qualche quotidiano on line. E’ possibile che sulle edizioni locali dei quotidiani in forma cartacea la notizia sia stata riportata, ma non è questo il punto.
Il punto è che ci si indigna molto facilmente sulla violenza sulla donna perpetrata in India (tanto si sa, lì son selvaggi e abbiamo facile gioco a crederci tanto superiori) e si dà copertura a mobilitazioni, dibattiti e reazioni a livello di opinione e di politica, quando poi casi analoghi avvenuti nel nostro paese vengono semplicemente spazzati sotto il tappeto.
Ci sono delle eccezioni ovviamente, alcuni ne parlano, ma soltanto sulla rete vengono avviate delle riflessioni, come nell’articolo di Luis Betti sul Manifesto Blog (anche se l’accostamento con la vicenda di Melania Rea è quanto meno dubbia, visto che il caso per cui è stato allontanato il giudice Paolo Ferraro è molto meno lineare di come l’articolo lascerebbe intendere). Molto più puntuale l’articolo di Femminismo a sud, in cui viene riportata una cronistoria di violenze perpetrate da militari o ex militari in Italia.
Un materiale corposo e preoccupante di cui nessuno parla. E io, a questo punto sono costretto ad ammetterlo, non ne capisco davvero il perché. Non mi resta che associarmi allo stupore di Baruda, che sfoglia le pagine dei giornali non trovando traccia dell’esito (in primo grado, è bene ricordarlo) di questa terribile, vergognosa vicenda. Terribile e vergognosa non solo per il condannato, ma per tutti noi. Nel frattempo, nel momento in cui scrivo questo articolo, su Repubblica continua il triste commercio di corpi femminili. C’è la sirena che vende hamburger, le modelle senza veli per difendere gli elefanti, Kelly Brook sempre vintage. Ed è solo l’inizio. Roba da chiudere la prima pagina di Repubblica e non riaprirla mai più.
un commento
RISPONDI
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il 19 febbraio 2013 alle 11:36 ha scritto:
[...] come quelli che scrivo di solito. Normalmente scrivo articolo che parlano di scrittura creativa, di femminismo, di cinema o di musica. Ciascuno di questi è un argomento in cui credo profondamente, che mi [...]