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(domenica, 2 settembre 2012)

20120902-161628.jpgOggi è arrivata anche nella mia casella la comunicazione della mostra per cui le recensioni devono essere pubblicate il giorno successivo alla proiezione per il pubblico. Persone informate mi hanno detto che in realtà la questione non è proprio come l’avevo posta ieri. Non era una misura contro la stampa on line, ma si riferisce a una diatriba fra l’Ansa e Repubblica Radio (peraltro riportata dal Foglio e ripresa da Il Post). Quindi è una cosa a uso e consumo dei “grandi”. Per quanto riguarda noi “piccoli” le cose in realtà restano immutate. Un sacco di gente continua a pubblicare on line in tempi molto rapidi, battendo sul tempo i più grandi e restando sostanzialmente inosservati. Tutto come prima e l’uomo campa. Veniamo ora alla giornata di ieri

Il primo film e dunque evento della giornata è stato The Master di Paul Thomas Anderson. Che fosse atteso si è capito fin dalle prime ore della mattina, con una fila lunghissima che si è formata in tempi molto rapidi. Del film in sé salvo in realtà le interpretazioni e alcuni aspetti di regia e fotografia. Davvero spettacolare Joaquin Phoenix, la cui presenza ruvida e spigolosa domina su qualunque aspetto del film, ma non abbastanza da salvarlo. La parabola del rapporto servo-padrone tra psicanalista e paziente non decolla e dopo breve ammorba non poco.
Su È stato il figlio di Daniele Ciprì sono ambivalente. Da una parte è da apprezzare il tentativo di fare una parabola che parli di mafia e di cultura mafiosa. Il problema è che il paragone è così sottile e rarefatto da essere complesso da cogliere in tutti gli aspetti. In conferenza stampa Servillo si è persino soffermato a descrivere gli aspetti matriarcali del fenomeno mafioso, il che però è solo una parte della storia e non è detto che sia la più preponderante. Servillo in questa pellicola propone un personaggio un po’ diverso dal solito, sembra divertirsi di più e trovare il coraggio di uscire dal solito schema tipo “Conseguenze dell’amore”.
Nel pomeriggio sono andato a vedere il documentario su Life and Death of Marina Abramovic, lavoro teatrale diretto da Bob Wilson. Il documentario è stato diretto da Giada Colagrande che qui aveva un “doppio aggancio”: da una parte con la stessa Abramovic e secondariamente con il marito Willem Dafoe, impegnato come attore nello stesso spettacolo. Assistere ai dettagli di una messa in scena di questo tipo ha quasi caratteristiche storiche per la caratura dei personaggi coinvolti e anche perché la “performance”, regno della Abramovic, è in un certo senso la negazione del teatro. In realtà la Abramovic tempera questo giudizio dopo questa esperienza, che a quanto parte l’ha coinvolta in maniera molto potente, a livello sia personale che emotivo.
A sera sono andato a vedere Boxing Day, tratto dal racconto di Tolstoj “servo e padrone”. L’idea era interessante, ma secondo me la trasposizione è stata piuttosto debole. La componente dirompente del racconto di Tolstoj consiste nella polarizzazione estrema tra i due personaggi. Il padrone è importante e il servo non conta niente. Il padrone è sciocco e arrogante mentre il servo è saggio e mansueto. Questi aspetti si potevano conservare nel film? Secondo me assolutamente sì. Esistono ancora profonde disparità sociali, anzi direi che nelle società occidentali si stanno persino aggravando. In Boxing day invece si compie la scelta più innocua e le due figure sono molto prossime tra loro. Questo fa sì che la scelta del padrone risulta in parte incomprensibile. All’uscita un tipo mi ha persino mostrato di non aver capito il finale: secondo lui il sacrificio era stato persino involontario.
L’ultimo film è stato un’opera israeliana del tutto inconcludente, Into the void. Una delle rappresentazioni della società ebreo ortodossa più superficiali che mi sia mai capitato di vedere sullo schermo. Se doveva essere una critica verso una società opprimente, allora ha mancato completamente il bersaglio.

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