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RECENSIONI   /   cinema   /   Diario non ufficiale del 69 Festival di Venezia (4)

(lunedì, 3 settembre 2012)

20120903-155522.jpgA volte due persone si parlano, credono di fare una conversazione sullo stesso argomento, e invece non è così. Me ne sono reso conto con la questione del comunicato stampa della mostra. Ieri sera alla fine ho chiesto al mio “contatto”: ma che c’entrava la questione delle notizie Ansa riprese tali e quali da Repubblica Radio e il comunicato sulla mostra del cinema di Venezia? La risposta è stata, come il buon senso avrebbe dovuto suggerire: assolutamente niente. Avevamo parlato di due cose diverse pensando che fosse la stessa. Non mi stupisco mai della capacità di incomprensione dell’essere umano in generale e mia in particolare. Quindi alla fine com’è andata: qualcuno dei quotidiani avrà fatto la voce grossa, l’ufficio stampa ha fatto un comunicato che qualcuno ha letto e qualcun altro no (perché NON è stato inviato via mail) e tutto è andato avanti come prima. Tutti tranquilli. La libertà di stampa non è in pericolo.

Oggi è stata la giornata di Terrence Malick. A un certo punto sono comparsi dei volantini distribuiti dal simpatico Pierpaolo Festa di Film.it, tramite i quali si voleva scatenare una caccia all’uomo. L’intento volutamente scherzoso era dovuto alla nota natura schiva del regista, che non rilascia interviste e non si fa vedere. Un gioco tra giornalisti dunque. La fila per To the wonder era lunghissima, come previsto, e come previsto molti sono andati a vederlo solo per fischiarlo. Secondo me To the wonder è un film intenso, ambizioso e poetico. Con poetico non intendo però svolazzi e pure delizie estetiche: la poesia di Malick è una ricerca che vuole andare al cuore delle cose, vuole porre delle domande e vuole parlare individualmente a ciascuno degli spettatori. Se poi siano o no disposti ad ascoltarlo è un dettaglio al di là della capacità di controllo del regista. Mi vorrei soffermare su un personaggio, interpretato da Romina Mondello. Lei è il classico spirito libero, che vuole indurre la protagonista a vivere fuori dagli schemi e a liberarsi da tutti i legami e i fardelli che la opprimono. Mi viene da chiedere: è così che all’estero vedono le italiane? E la donna al di fuori degli schemi non finisce per essere uno schema essa stessa? Domanda retorica, lo so.
A proposito di cliche e di Italia, Susanne Bier commette svariati crimini contro il nostro paese. Uno su tutti: si può realizzare un film ambientato in Italia e caratterizzarlo con That’s Amore di Dean Martin (poi diventata una nota linea di pasta surgelata, peraltro?). Il film della Bier è così: un lavoraccio pieno di stereotipi surgelati e precotti al momento. Con il difetto fin troppo evidente: quando tiri fuori la tua delizia pret a manger dal freezer, sai già cosa ti verrà fuori. O forse no: le immagini sono puramente indicative. Di questo film resta solo un Pierce Brosnan che si deve scorciare la capigliatura un po’ ai lati. E tanti personaggi negativi, ma così negativi da rasentare la crudeltà mentale. Sì, dello sceneggiatore nei loro confronti.
Nel pomeriggio sono entrato a vedere un film danese, Blondies. Dopo alcune scene (bionda che fa una sfilata, bionda che canta su Tutti insieme appassionatamente, bionda che scopa in un bagno con un tizio), mi sono dovuto arrendere all’evidenza: non mi importava assolutamente niente di quello che stava succedendo sullo schermo. Mi sono alzato e me ne sono andato.
Non me ne sono potuto andare al film di Taleshi Kitano invece: un nuovo film di gangster che non aggiunge assolutamente nulla alla sua figura artistica, se non un sacco di colpi di pistola in più e qualche tortura piuttosto gratuita.
Solo tre film. Giornata fiacca, lo so.

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