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RECENSIONI   /   cinema   /   Diario non ufficiale del 69 Festival di Venezia (7)

(giovedì, 6 settembre 2012)

20120906-151652.jpgÈ solo una settimana che sono a Venezia, ma mi sembra già di essere qui da una vita, o quanto meno da mesi. Sarà che l’atmosfera si sta spegnendo, sarà che le odi osannanti per Spring Breakers mi stanno prostrando, sarà che la voce che vuole un Michael Mann (presidente di Giuria) divertito di fronte alla modesta opera di Korine (sempre Spring Breakers) mi fa sperare, io non vedo l’ora di lasciare la laguna. Vabbè, anche per un altra ragione, ma quella me la tengo davvero per me.
In ogni caso oggi è stata la giornata di Bellocchio, il cui film è stato forse tra i più attesi di questo Festival, dopo tutte le polemiche preventive, i finanziamenti erogati, negati e nuovamente restituiti e dopo tutta la chiacchiera che c’è stata intorno.

Diciamo subito che Bellocchio prende chiaramente la propria posizione, è a favore della libertà di scelta e non vuole fare un film che vada bene a tutti. Detto questo, dal punto di vista dei temi affrontati c’è tanta retorica, tante semplificazioni e un modo abbastanza facile di cavalcare la cosiddetta antipolitica. Cionostante ci sono alcune sequenze memorabili, inclusa una stanza termale in cui i senatori seguono i lavori parlamentari avvolti da asciugamani che sembrano tuniche. Situazione da basso impero. Toni Servillo è un senatore del Popolo della libertà tanto insolito quando efficace. Ci sono delle piccole perle di ironia qua e là, ma sono presto soffocate dalla necessità di fare dichiarazioni di stampo politico. Dal punto di vista dell’immagine Bellocchio invece è impeccabile. Una mano più leggera nella sceneggiatura avrebbe giovato al prodotto nella sua interezza.
La cinquieme saison di Woodworth/Brosens è invece il tipico film da Festival, almeno per la percezione comune. Il film da festival è un film che non è immediatamente intelligibile, è basato su una straordinaria pulizia dell’immagine e ha pochi dialoghi. Per la verità ho amato molto la cinquieme saison, ma mi rendo conto che per affermazioni di questo genere si passa molto facilmente per snob. In realtà è una pellicola molto raffinata con momenti di grande crudezza, in cui viene esposto il rapporto conflittuale e irrisolto tra uomo e natura. Più che di videoarte mi sentirei di parlare di esperienze pittoriche in movimento, con ritratti ricchissimi che si alternano a nature morte (in tutti i sensi). La sequenza finale in cui un branco di struzzi guardano diritti nella macchina da presa è una delle più inquietanti che abbia mai visto al cinema, e temo che un giorno mi perseguiterà nei miei incubi.
L’ultimo film della giornata (eh sì, sono andato a farmi un giro per Venezia, quindi meno film oggi), è stato Carmel, il secondo documentario di Amos Gitai sul suo album di famiglia… confesso che mi ha dato un po’ la botta finale sulla mia motivazione di restare a Venezia…

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