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RECENSIONI   /   musica   /   Sweet Soubrette – Days and nights

(mercoledì, 22 febbraio 2012)

Confesso di essermi avvicinato a questo Days and nights con un po’ di paura. La ragione è semplice, avevo amato così tanto Siren’s Song, il primo disco di Sweet Soubrette, che il timore di essere deluso era davvero molto forte. Siren’s song era molto diretto nell’approccio testuale e musicale, eppure così ricco di poesia, dolore e ironia da renderlo un prodotto davvero unico. Devo ammettere che l’ascolto di questo Days and nights ha fugato tutto i miei dubbi.

Il secondo disco di Days and nights esplora strade e sonorità diverse senza abbandonare la via maestra dell’ukulele. Anzi, si potrebbe dire che il caratteristico timbro sia un tratto distintivo della musica di questa sorprendente artista newyorchese.

Il primo impatto è dato da “Gold digger”, il secondo di una possibile trilogia (?) di personaggi femminili negativi. In Siren’s song avevamo la “Homewrecker”, la rovina famiglie. Mentre questa cercava gli uomini per il brivido di trasgredire le leggi non scritte della “decenza”, la cacciatrice di dote è alla ricerca… beh di denaro ovviamente. Denaro per il suo stile di vita dispendioso. L’apertura, con le percussioni insistenti può ricordare l’inizio di Graceland di Paul Simon (senza essere così ideologicamente sbagliato, ovviamente).

City people è una canzone che parla di nuvole e cemento. Potrebbe essere il manifesto di un’intera generazione di donne che ora si trovano a trent’anni senza una guida, senza i classici riferimenti che hanno avuto le generazioni precedenti (“you’re older than your parents were when you were born”). L’unione di violini e musica elettronica è dissonante, eppure al servizio del testo in una maniera che te lo fa entrare sotto la pelle.

Days and nights è la title track, una canzone marcatamente autobiografica in cui le sonorità dell’ukulele tornano preponderanti. Anche qui l’apporto di Heather Cole al violino è fondamentale. Chi invece ha familiarità con il lavoro di Henri Laborit, non mancherà di riconoscere il tema della traccia successiva, Avalanche: la paralisi dell’azione. Anche in questo caso atmosfere intense, create da una fitta tessitura di percussioni.

Laws of conservation è una delle mie canzoni preferite dell’album. Non mi è mai capitato di sentire una canzone sulla tristezza dell’immutabilità delle cose così accessibile, poetiche e a suo modo persino allegra. Nel testo ci sono momenti di poetica arguzia (“if the people in your memory could keep each other company… would that make you less lonely?”). Questa traccia segna un’ideale prima parte dell’album, che poi ritorna su strade più personali, più intime, con A lot like being alone, canzone di notte gucciniana ma con una sensibilità tutta femminile, Jetty e Tenderness. Petit sourir è un’affascinante ninna nanna cantata in francese e in inglese. La marcia dei soldatini di legno è inclusa nelle sonorità del pezzo. Stick aroundè una canzone che unisce immagini molto eteree a simboli fin troppo concreti nella loro materialità. Legami fisici e legami mentali vanno di pari passo. Snow White & Rose Red risponde a tutta una serie di domande che erano sorte nell’ascolto di altri brani (“There is no raising girls like us, we have to raise ourselves”). Quindi chi se ne importa delle strade battute, dei presunti insuccessi e persino della paura del futuro. Si può imparare da tutto e andare avanti. Sweet Soubrette sta sicuramente andando avanti. (L’album si può trovare su Itunes).

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