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RECENSIONI   /   cinema recensioni   /   Recensione: L’amore inatteso

(sabato, 23 marzo 2013)

Non mi stancherò mai di ripetere di quanto uno scrittore può imparare dal cinema. In questo caso vorrei proporre l’analisi di un film, L’amore inatteso, che parla di una questione intima e personale come la conversione, senza mai entrare nel vivo della questione.

Normalmente parlare di un argomento senza nominarlo esplicitamente non è soltanto una cattiva regola di scrittura: è un paradosso. Quando però il tema entra nella sfera più privata di un personaggio, esporre la sua vicenda per ellissi, senza entrare all’interno dei suoi turbamenti interiori non è solo una specie di discrezione da parte dell’autore, ma è anche un modo di trattare la propria materia in maniera più forte.

Questo è il caso dell’amore inatteso, tratto dal romanzo autobiografico di Thierry Bizot, “catholique anonyme” (che per quanto mi risulta non è stato tradotto in italiano).

Antoine è un avvocato di quarant’anni, sposato e con due figli. Ha un rapporto conflittuale con il figlio più grande, che non va molto bene a scuola. Un giorno Antoine va a parlare con un suo professore, il quale percepisce un bisogno dello stesso Antoine e gli consiglia di andare a una catechesi per adulti. In un misto di curiosità e scetticismo, Antoine si reca a questa catechesi, usando persino l’alibi della buona educazione, ed è così che inizia il suo percorso esistenziale.

Non vediamo molto di questi incontri, se non l’incontro iniziale e l’ultimo incontro. Il primo incontro è incentrato sul tema della benedizione originaria (Marco 1:11), il senso della gratuità dell’amore divino. Questo concetto non viene nominato esplicitamente, ma è molto facile riconoscerlo. Antoine non parla di religione, non diventa una specie di invasato, non modifica le sue abitudini, eppure possiamo osservare un lento cambiamento al suo interno, un lavorio che col tempo inizia a portare frutti visibili.

Proprio per questo parlo, in questo caso, di discrezione della scrittura. C’è proprio una grande delicatezza nella stesura di questo percorso esistenziale da cui si può imparare molto. Del tutto rivelatori sono i piccoli gesti. C’è una scena in particolare in cui Antoine sta guidando e accanto a lui c’è il padre, semi addormentato. Nel sonno, questo padre con cui l’avvocato ha avuto un rapporto sempre molto complesso, sfiora inavvertitamente la mano ad Antoine, che registra quel momento e comprende l’importanza di un gesto affettuoso da parte di una figura paterna. Ed è proprio questo momento che normalmente sarebbe invisibile a mutare i rapporti tra Antoine e il figlio “difficile”, quello con cui stava riproducendo inconsapevolmente quel modello parentale che a parole diceva di detestare.

A parte il consiglio esplicito di vedere questo film, consiglio a ogni scrittore di iniziare a registrare, specialmente nel cinema, l’importanza dei piccoli gesti, dei piccoli movimenti messi in evidenza dalla regia e dal montaggio. Spesso proprio in questi c’è la chiave di lettura di intere pellicole, ed è proprio lì che noi scrittori possiamo imparare davvero molto.

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