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scrittura   /   Come nasce un romanzo: Lo sguardo inatteso – 1

(venerdì, 18 dicembre 2015)

Un giorno a teatro, alla fine delle prove della Trilogia del sangue, Francesco (attore della compagnia Dupla Carga), mi ha fatto qualche domanda su Lo sguardo inatteso. Ho sempre difficoltà a parlare dei miei libri. Non so bene perché. Forse ho paura di non riuscire a trasmettere nella maniera migliore tutto quello che è importante per me. Forse perché in fondo e tutto nel libro e non ho davvero bisogno di aggiungere qualcosa. Forse perché ho paura di rispondere in modo molto vago, cosa che poi regolarmente accade. Alla fine metto insieme qualche frase, più o meno sconnessa, più o meno sensata, con la consapevolezza di non aver reso un buon servizio a Lo sguardo inatteso. Questo libro però è diverso, nel senso che non è nato solo dalla mia immaginazione. Al limite il mio merito (se di merito si tratta) è stato quello di mettere insieme un po’ di pezzi. Il romanzo è nato da una ideazione di coppia, di Irma e mia, da una serie di interrogativi che ci siamo posti e da una serie di soluzioni che abbiamo trovato insieme nella fase di progettazione.

Ritornando al tema iniziale, mi sono sempre chiesto come i miei scrittori preferiti si mettevano al lavoro, in quale ambiente scrivevano, come organizzavano la loro giornata. Non sono informazioni misteriose o impossibili da reperire: per molti autori si può scoprire facilmente come scandivano le loro giornate lavorative con la scrittura. Nel caso di alcuni, come Tolstoj o Dostoevskij, si possono anche leggere i loro appunti preparatori, poche righe che descrivevano un personaggio o un’azione, oppure un’embrionale divisione in capitoli per avere ben chiara l’idea di quello che avrebbero fatto. Eppure, nonostante la disponibilità di informazioni, mi rimane sempre l’idea che ci sia qualcosa di non detto, qualcosa che sfugge alle parole o alla descrizione di un processo. Certo, quando ci si trova davanti alla sfida di scrivere, ci si trova da soli con se stessi. Forse scrivere è il lavoro più solitario del mondo, come scalare una montagna con l’attrezzatura che ci siamo portati appresso: anche se la tecnica ci sostiene, non si può mai avere la certezza di arrivare in cima o di non perdersi. Scrivere vuol dire anche smuovere il proprio subconscio, e non è detto che quello che viene su sia sempre bello. Ora non sto parlando di quelle cose carine che vanno sotto il nome di ispirazione, momento di grazia o altre cose del genere. Queste sono solo coincidenze. Se uno scrittore dovesse scrivere solo quando è ispirato non scriverebbe quasi mai. Scrivere è un’attività che bisogna fare tutti i giorni,  con coraggio e costanza, perché cedere alle voci interne che ti dicono di smettere o di fare qualcos’altro è davvero molto semplice e, giorno dopo giorno, sempre più facile e attraente.

Mentre giungevo al completamento del romanzo, mi sono reso conto che forse potevo iniziare a dare una risposta a queste domande che si affollavano nella mia testa, quelle sull’attività quotidiana dello scrittore. Arrivare alla conclusione di un romanzo, ancora una volta al di là  di valutazioni come bello brutto, valido e così via, vuol dire essere entrati in un processo, aver percorso ogni tappa ed essere giunti alla conclusione. La metafora del viaggio è abusata – è vero -, ma illustra egregiamente un metodo di lavoro che non può che procedere per piccole mete quotidiane. Non è poesia: è una questione di sopravvivenza. Immaginiamo di progettare un viaggio, stabilendo un punto di partenza e un punto di arrivo, e di percorrere con la fantasia ogni singola tappa in ogni suo dettaglio minuzioso. Arriveremmo alla pazzia. Allo stesso modo, nella stesura di un libro procedere per tappe, capitolo per capitolo, pagina per pagina, parola per parola è necessario. Quello che spaventa di più nell’intraprendere l’impresa di scrivere un romanzo, è vederlo fin dall’inizio come un prodotto finito. È come vedere una montagna dal basso: l’idea di scalarla vedendola nella sua interezza è scoraggiante, fa paura. Avvicinandosi, invece, si scopre che ci sono sentieri, pendii più dolci di quello che si pensava e tratti impegnativi ma resi più semplici da chi ci ha preceduto. Magari ci saranno dei punti difficili, che ci faranno impazzire, ma allora verrà in soccorso la nostra intelligenza. A volte penseremo di non essere pronti, e ce ne andremo. La montagna sarà sempre là ad aspettarci, se decideremo di tornarci.

Con questo siamo arrivati alla prima tappa: accettare di essere pronti e in grado di scrivere un romanzo. Il primo passaggio è l’accettazione all’interno della nostra mente. Anche solo dicendo a se stessi: sì che ce la posso fare.

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2 commenti

  • Come nasce un romanzo: Lo sguardo inatteso – 2 | Mauro Corso, attore e scrittore
    il 1 gennaio 2016 alle 11:27 ha scritto:

    [...] di un’opera “letteraria”, ma per entrare meglio nel processo creativo. Nell’articolo precedente siamo arrivati appena a concepire l’idea di intraprendere un cammino verso la stesura del [...]

  • Come nasce un romanzo: Lo sguardo inatteso – 3 | Mauro Corso, attore e scrittore
    il 21 gennaio 2016 alle 10:59 ha scritto:

    [...] e capire alcuni meccanismi del processo creativo, anche nel suo aspetto più personale e unico. Nel primo articolo abbiamo appena contemplato la possibilità di scrivere un romanzo. Già questo è uno scalino [...]

 

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