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scrittura   /   Hard Time – fumetto e potenzialità combinatorie della scrittura

(lunedì, 12 marzo 2012)

 

Ogni tanto mi capita di parlare con un mio amico di scrittura. Lui mi dice, giustamente, che “ormai è stato scritto tutto: solo nella Bibbia c’è ogni storia possibile”. C’è una verità dietro a questa frase. Ormai è stato scritto davvero tutto, se non altro per quello che riguarda le relazioni interpersonali. In fondo è questo che rende i grandi davvero grandi (Shakespeare ad esempio): l’aver parlato di passioni basilari che muovono i cuori degli uomini e delle donne a prescindere dal secolo in cui si muovono. Per questo Shakespeare può essere adattato a epoche più vicine alla nostra con grande facilità. Uno dei “trucchi” per scrivere una buona storia consiste dunque nel parlare di questioni che ci sono prossime e che non sono soggette alle mode delle varie epoche: i bisogno più elementari degli esseri umani.

Un altro sistema consiste nel combinare varie storie nella speranza di ottenere qualcosa di nuovo, grazie alla sovrapposizione di vari elementi. Vorrei parlare a questo scopo di Hard Time, un fumetto mai uscito in Italia e di vita breve e travagliata anche negli Stati Uniti. E’ stato pubblicato tra il 2004 e il 2005 dalla DC Focus, un ramo della storica casa di Batman e Superman incentrato su un approccio del tutto particolare nei confronti dei supereroi. La DC Focus prendeva in esame persone comuni, che all’improvviso sviluppavano facoltà straordinarie in contesti ordinari. Si può dire che l’approccio era più soprannaturale che supereroistico in senso stretto, comunque la DC Focus ha pubblicato davvero poco e ha avuto non poche difficoltà anche a concludere Hard Time, l’unica serie che con i suoi 19 numeri non è stata cancellata prima di giungere a un epilogo di un qualche genere.

La vicenda è semplice: Ethan, coinvolto in una sparatoria nel suo liceo, viene condannato a 50 anni di prigione. Mentre è in carcere scopre di avere dentro di sé una strana entità fiammeggiante che lo protegge e gli permette di viaggiare con la mente. Nel frattempo si confronta con la realtà del carcere e con tutto quello che comporta. Ci sono tanti elementi che ci ricordano qualcos’altro in questa serie. Vediamoli uno per uno.

  •  Il fenomeno delle sparatorie nei licei. Viene alla mente la strage di Columbine. Questo tema è stato già ripreso dal cinema, ad esempio in Elephant (2003)  di Gus Van Sant. Parlare di eventi così tragici e così vicini ha degli ambiti di problematicità e non sempre può essere considerato di buon gusto. Affrontare temi così delicati a viso aperto e in maniera onesta invece può avere effetti terapeutici a livello locale o nazionale. La questione del trauma viene affrontata con grande raffinatezza e senza sbavature, ad esempio nel rapporto epistolare tra Ethan e Alyssa, sopravvissuta alla sparatoria proprio grazie all’intervento di Ethan.
  • L’ambiente carcerario in cui si muove Ethan ricorda molto da vicino Oz (1997-2003)  serie televisiva di rara brutalità sia psicologica che visuale. Non è davvero una serie sostenibile da tutti. Già solo vedendo l’anno di conclusione di Oz e l’anno di uscita di Elephant si può ricostruire l’atmosfera culturale in cui è nata una serie come Hard Times. Niente accade per caso.
  • C’è elemento soprannaturale, che può prendere ispirazione da così tante fonti che non saprei davvero cominciare: da Green Lantern a X-Files per intenderci.
  • Infine c’è la passione umana con tutta la gamma di emozioni costruttive e distruttive: amore (nelle varie accezioni, dall’amore filiale all’amore passionale), rabbia, vendetta, pietà, rimpianto.

Il problema di Hard Times è che le basse vendite hanno influito sulla scrittura, che aveva posto delle premesse di ampio respiro (risalenti a esseri mitologici vissuti migliaia di anni prima) che però sono state risolte in maniera sbrigativa per arrivare a una conclusione di un qualche tipo. Come ci si può procurare in Italia la prima stagione di Hard Time? Molto facilmente e in formato elettronico, ad esempio con ComiXology.

 

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