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scrittura   /   Quante volte si rivede un manoscritto?

(giovedì, 8 novembre 2012)

(Queste graziose forbici vengono da Due cigni cutlery  – questo link NON è sponsorizzato)

Ho fatto una delle classiche cose che NON si devono fare quando si ha un sito personale / blog / altra lavagna per esprimere le proprie idee. Ho abbandonato il mio sito per quasi un mese. Troppo tempo. E’ una cosa dannosa e da non fare. Certo, non è una cosa pericolosa come mettere le dita nelle prese di corrente o buttarsi sullo skate lungo una scala a chiocciola (non fatelo a casa ragazzi, davvero), ma è comunque da evitare. La ragione è semplice: pur avendo finito il mio manoscritto (come annunciavo trionfalmente qui), in realtà in questo periodo di tempo non ho mai finito di lavorarci, di smussarlo, di rifinirlo, di ricercare piccoli refusi e altre minuscole imperfezioni. A questo punto mi sono chiesto: quando si può “lasciare andare” un manoscritto al proprio destino?

Il problema è più delicato di quanto possa sembrare. Teoricamente il lavoro su un opera (di qualunque genere, persino su una fotografia) può essere infinito. Adesso torniamo però alla scrittura, che è il tema che mi sta più a cuore. Supponiamo di avere un manoscritto di media lunghezza, diciamo sull’ordine delle cinquantamila parole. Non possiamo dire che ciascuna di queste parole prese singolarmente si intercambiabile, ma una grande percentuale sicuramente lo è. Si possono aggiungere precisazioni. Si può tagliare, e questa è una risorsa fondamentale per lo scrittore. A volte chi scrive si affeziona così tanto alla propria parola da provare un terrore atavico alla sola idea di buttare quello che ha creato con tanto amore. Eppure la maturità di uno scrittore si vede anche da questo piccolo atto di coraggio. Tagliare, per quanto paradossale possa sembrare, è una forma di scrittura o, meglio, di riscrittura. Non dico che dobbiate buttare quello che avete scritto, anzi tagliate la frase o il paragrafo “incriminato” (tagliare paragrafi?!? *gocciolina di sudore*) e salvatelo da un altra parte, anzi, create un file di scarti in cui contestualizzate quello che avete spietatamente tagliato. Magari un giorno vi sarà utile o sarà addirittura il punto di partenza per un nuovo capolavoro… mai porre limiti alla divina provvidenza. Nel frattempo però abbiate fiducia nella vostra piccola potatura.

A un certo punto vi renderete conto di una verità: non potrete rivedere il vostro testo all’infinito, prima o poi vi dovete fermare. La domanda ovvia è: quando? Non c’è una risposta unica. Probabilmente lo capirete, dovete solo avere la capacità di ascoltarvi. Quando non trovate più refusi o errori di ortografia è una possibilità. Quando non avete più nulla da aggiungere è un’altra. Ne esiste una terza, forse la più importante: potete lasciare andare il vostro manoscritto quando questo “non ha più nulla da dirvi”, quando leggendolo non vi dice più nulla che non sappiate già. Frase assurda? Non proprio. Anche quello che scriviamo noi ci comunica qualcosa, apre squarci di possibilità che non avevamo intuito noi stessi, nel momento in cui le avevamo messe per iscritto. A un certo punto però le parole diventano però “mute”, incapaci cioè di dirci qualcosa di nuovo. Quello è il momento di lasciare le manine del nostro amato manoscritto e di farlo andare nel mondo sulle proprie gambe.

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